RIFLESSIONI A MARGINE DELLA SENTENZA N. 20998 DEL 24 LUGLIO 2025
A cura dell’Avv. Alessandro Larussa
1. Inquadramento introduttivo
La pronuncia in commento si colloca all’interno del consolidato filone giurisprudenziale volto a precisare l’ambito operativo della compensazione giudiziale in ambito lavoristico e, contestualmente, riafferma l’imperatività del principio di completezza della decisione giudiziale, quale corollario dell’art. 112 c.p.c.
La vicenda oggetto del giudizio di legittimità, sebbene inquadrabile nell’ordinario alveo del contenzioso lavoristico conseguente alla cessazione del rapporto, si distingue per il rilievo paradigmatico che assume in ordine a questioni di portata sistematica, incidendo in modo significativo sulla ricostruzione teorico-pratica dell’istituto della compensazione giudiziale e sulle sue ricadute nel contesto delle impugnazioni.
2. I fatti processuali
Nel giudizio di merito, la società datrice di lavoro (omissis S.r.l.) aveva convenuto in giudizio un ex dipendente (omissis), ritenendo ingiustificate le dimissioni rassegnate e avanzando domanda per il riconoscimento dell’indennità sostitutiva del preavviso. Il lavoratore, a sua volta, aveva ottenuto in primo grado, mediante ordinanza ex art. 423, comma 2, c.p.c., la corresponsione di una somma a titolo di trattamento di fine rapporto (TFR).
All’esito del giudizio di appello, la Corte territoriale riconosceva in favore della datrice di lavoro un credito di € 16.302,00 per indennità sostitutiva del preavviso, disponendo la compensazione con il credito già liquidato al lavoratore a titolo di TFR. Residuatane un saldo attivo pari ad € 8.879,92, la Corte pronunciava condanna nei confronti dell’ex dipendente, escludendo la sussistenza della giusta causa di dimissioni e regolando le spese dei due gradi mediante compensazione parziale.
3. Il ricorso per cassazione
La datrice di lavoro proponeva ricorso per cassazione affidato a due distinti motivi.
Con il primo motivo, parte ricorrente denunciava la violazione degli artt. 1241 ss. c.c., 2697 c.c. e 115 c.p.c., deducendo che la Corte territoriale avesse indebitamente disposto la compensazione tra l’indennità di preavviso e un credito già soddisfatto (TFR), in esecuzione dell’ordinanza interlocutoria resa in primo grado.
La Corte di Cassazione ha ritenuto il motivo infondato, sottolineando che la compensazione impropria, a differenza di quella legale o giudiziale in senso tecnico, può essere disposta d’ufficio dal giudice, in presenza di due contrapposte voci creditorie, entrambe liquide ed esigibili. In assenza di specifica allegazione, da parte della ricorrente, dell’intervenuto pagamento del TFR – allegazione necessaria ex art. 366, n. 6, c.p.c. – la censura è risultata priva di fondamento, non potendo la Corte esercitare alcun potere valutativo su circostanze fattuali non dedotte ritualmente.
Con il secondo motivo, la società lamentava che la Corte d’appello avesse omesso di pronunciarsi sull’autonoma domanda di restituzione delle somme corrisposte, a titolo di spese legali, in esecuzione della sentenza di primo grado poi riformata.
La Suprema Corte ha accolto tale censura, rilevando la violazione dell’art. 112 c.p.c. L’obbligo di pronuncia su tutte le domande ritualmente proposte, anche se accessorie o connesse alla regolazione delle spese, costituisce un principio inderogabile del processo civile. La domanda di ripetizione dell’indebito, connessa alla riforma della sentenza di primo grado, non può considerarsi assorbita nella statuizione sulle spese, trattandosi di una pretesa restitutoria fondata sull’alterazione del titolo giustificativo del pagamento.
4. Principi giuridici affermati
La sentenza in esame consente di isolare due affermazioni di principio di notevole rilievo sistematico:
- in primo luogo, si ribadisce la natura officiosa della compensazione impropria, la quale non presuppone istanza di parte né eccezione in senso stretto, ma richiede che le contrapposte pretese risultino determinate e documentalmente supportate;
- in secondo luogo, si riafferma che l’omessa pronuncia su una domanda di ripetizione dell’indebito configura violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, rendendo nulla la sentenza per difetto assoluto di motivazione su un punto decisivo della controversia.
5. Decisione della Corte
La Corte di Cassazione ha, pertanto, rigettato il primo motivo di ricorso, accolto il secondo e cassato in parte la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.
6. Considerazioni conclusive
La pronuncia in esame si segnala per la chiarezza con cui disciplina l’ambito applicativo della compensazione giudiziale, restituendole coerenza sistematica nel quadro delle dinamiche endolavorative. Parallelamente, essa ribadisce l’invalicabilità dell’obbligo del giudice di pronunciarsi su ogni domanda, riaffermando i principi di effettività della tutela giurisdizionale e di pienezza del contraddittorio.
Essa costituisce pertanto un utile richiamo, rivolto tanto ai giudici quanto ai difensori, sull’importanza della scrupolosa osservanza degli oneri processuali, nonché sull’esigenza di coerenza tra il percorso logico-giuridico e la funzione decisoria affidata alla giurisdizione.
Autore: Alessandro Larussa



