L’art. 6 del D.P.R. 1986, N. 917 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), oltre a classificare i redditi imponibili a tassazione IRPEF, distingue due fondamentali categorie di indennità: quelle percepite a titolo di risarcimento danni consistenti nella perdita di redditi e quelle percepite a titolo di risarcimento dei danni dipendenti da invalidità permanente o morte. Le prime, essendo equiparate a redditi imponibili, sono sottoposte a tassazione; le seconde ne vengono, invece, escluse.
Per “danno biologico” si intende il danno alla salute che abbia alterato l’equilibrio psicofisico della persona, in grado di provocare ripercussioni negative in ogni ambito, anche personale e familiare, in cui si svolge la personalità dell’individuo. Pertanto la giurisprudenza, nei casi in cui lo individua come un impoverimento patrimoniale immediato del danneggiato, lo annovera nella categoria delle indennità esenti da ritenuta IRPEF. Tale esenzione va intesa laddove le somme percepite a titolo di risarcimento siano qualificabili come danno emergente, mentre se sono rivolte a ristorare lucro cessante, sono sottoposte allo stesso regime di tassazione dei redditi sostituiti o perduti.
La Corte Costituzionale, con sentenza 14.7.1986, n. 184, si è espressa in merito, enunciando che il bene salute è tutelato dall’art. 32, comma 1, della Costituzione, soprattutto come diritto fondamentale dell’individuo e non solo come interesse collettivo. Secondo la Corte, implica il danno biologico la semplice lesione alla salute e quindi lo stesso è ritenuto risarcibile oltre i limiti posti in essere dall’art 2059 c.c, riguardante la risarcibilità dai danni non patrimoniali. In virtù di ciò, il danno biologico appartiene ad una categoria distinta sia da quella dei danni economici (effettiva riduzione dei redditi o dalla ridotta capacità di guadagno) che da quella dei danni morali (ex. art. 2059 c.c) conseguenti al licenziamento illegittimo.
Seppur l’art. 17 D.P.R. 917/86 sembrerebbe non lasciar spazio a dubbi sull’individuazione dei redditi e le indennità derivanti da licenziamento illegittimo da sottoporre a tassazione IRPEF, la giurisprudenza si trova inevitabilmente spesso in conflitto sull’interpretazione della norma. La soluzione è spesso rinvenibile nel dettato generale dell’art. 6 del D.P.R. 917/86. Se la natura delle somme erogate dal datore di lavoro al lavoratore si riconducono ad un risarcimento del danno, è evidente che la dottrina è orientata ad applicare l’imposta. Quando invece le somme sono erogate per integrare la perdita di redditi, e quindi si riconosce un caso di danno emergente, la tassabilità viene esclusa. In presenza di erogazioni a titolo risarcitorio occorrerà, quindi, accertare quale specie di danno l’erogazione miri a riparare e determinare in quale misura i proventi erogati non siano destinati a riparare il danno derivante da mancata percezione del reddito di lavoro[1].
In questa operazione ermeneutica potrebbe svolgere un ruolo chiave il contribuente. Infatti, come dichiara in taluni casi la stessa Corte di Cassazione, alla somma versata al lavoratore, in base ad una definizione transattiva della controversia che tenga ferma la cessazione del rapporto, deve essere presuntivamente attribuita, al di là delle qualificazioni formalmente adottate dalle parti, la natura di ristoro della perdita delle retribuzioni che la prosecuzione del rapporto avrebbe implicato, e, quindi, di risarcimento di un danno qualificabile come lucro cessante, con conseguente applicabilità dell’art. 6 citato D.P.R. n. 917/1986 (Cfr. Cass. n. 4099/2000, in motivazione), di guisa che alla deduzione di una distinta causale del relativo esborso deve corrispondere un’adeguata prova, il cui onere spetta al contribuente[2].
[1] Corte di Cassazione Sezione Tributaria civile – Sentenza 04.10.2004, n. 19754
[2] Corte di Cassazione Sezione Tributaria civile, con sentenza 24.09.2003, n. 14167